ASSEGNO DI MANTENIMENTO E DIVORZILE
A seguito della sentenza della Cassazione S.U. 11490 del 1990, per anni, il criterio di mantenimento del coniuge più debole sia in sede di separazione che di divorzio è stato il tenore di vita collegato al dovere di assistenza materiale.
Poi nel 2017 la Cassazione ha stabilito che l'assegno divorzile non potesse più essere una rendita vitalizia poiché il divorzio recide ogni legame materiale e morale tra i coniugi e che l'assegno di mantenimento fosse giustificabile solo quando l'ex coniuge, per cause indipendenti dalla sua volontà, non potesse mantenersi da sé.
Nel 2018 poi la Cassazione S.U., con la sentenza n. 18287, ha ritenuto che l'assegno di divorzio dovesse essere proprozionato alla ricchezza che l'altro coniuge abbia potuto raggiungere. Si valutano dunque anche la rinuncia alla carriera di un coniuge,la formazione del patrimonio comune, dando rilievo anche alla durata del matrimonio.
Di recente, con la sentenza n. 28104 del 2020, la Suprema Corte ha ribadito questi principi.
Quanto all'assegno di mantenimento a seguito di separazione, dopo la suindicata sentenza delle Sezioni Unite del 2018 si è ritenuto che la decisione assunta in tema di assegno divorzile potesse applicarsi anche al mantenimento. Infatti, successivamente, i giudici di legittimità (Cass. Ord. 26084/2019) hanno affermato che la funzione dell'assegno di mantenimento non consiste nel realizzare, anche dopo la separazione, il ripristino del tenore di vita goduto da entrambi i coniugi nel corso del rapporto, ma nell'assicurare un contributo che consenta al coniuge richiedente di raggiungere un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare.
Ad oggi l'assegno di mantenimento pertanto per lo più non tiene conto del tenore di vita, bensì di altri fattori quali i redditi propri adeguati all'età, la durata del matrimonio, il contributo dato in famiglia e la capacità reddituale dell'altro coniuge.